Offro anch’io la mia personale analisi del disastro del 25 settembre (scusate il ritardo, ma ho avuto un periodo complicato). 

Questa pesantissima e purtroppo annunciatissima sconfitta è la sovrapposizione di due sconfitte, quella della coalizione e quella del partito.

La prima ha una causa estremamente semplice, che avrebbe dovuto essere cristallina già a luglio: la totale ed incomprensibile decisione di buttare al macero l’unica alleanza che avrebbe potuto renderci competitivi, quella col M5S. Col senno di poi, sembra veramente assurdo folle ed incomprensibile che con la legge elettorale vigente, sapendo tutti che la maggioranza l’avrebbe ottenuta solo una coalizione larga, si è deciso di fare esattamente il contrario. Sembra che se ne accorgono tutti adesso! Nel preciso istante in cui abbiamo deciso di non fare la coalizione larga, a cui stavamo lavorando da anni, in nome della fedeltà al “banchiere”, abbiamo perso, perché l’elettorato ci ha percepiti come non competitivi e gli analisti elettorali ci dicono che gli elettori tendono a salire sul carro del vincitore, votando coloro che credono che vinceranno. La destra non ha nessun collante se non il potere, ma è molto più furba di noi nell’ottenerlo ed ha impiegato un pomeriggio a mettersi insieme, dopo essersi insultata per 4 anni e mezzo. Questo è il capolavoro della nostra dirigenza. Di Renzi e Calenda, non vale nemmeno la pena di parlare.

In secondo luogo, c’è da discutere della sconfitta del nostro partito, 19% è solo di poco superiore al 18% dell’era Renzi, certamente inferiore ai risultati ottenuti nelle elezioni degli anni passati. La causa di questo è ovviamente strettamente connessa alla prima, ma ha radici più profonde anche se non meno evidenti.

La vittoria della Meloni è stata la vittoria dell’identità e della coerenza: un partito che ha avuto sempre la stessa posizione, è stata sempre all’opposizione e ha sempre detto cose chiare e nette. Esattamente il contrario di quello che abbiamo fatto noi. Non abbiamo avuto né identità, né coerenza.

Si dice che il problema sia il correntismo ed è vero, ma forse bisogna essere più precisi: Il PD è un partito che non ha più una base, gli scritti sono soltanto lo strumento per contarsi nelle riunioni fra capicorrente. L’unico obiettivo di questa classe dirigente è perpetuare sé stessa, incontrandosi a tavolino e decidendo per tutti. In questo sistema, l’unico criterio con cui si fa carriera è la fedeltà cieca al capetto di turno e qualità quali competenza, indipendenza ed intelligenza più che come un valore sono percepiti come un pericolo da tenere alla larga. La base non è più minimamente ascoltata nemmeno nei congressi, visto che ormai si fanno praticamente solo congressi unitari.

L’altro aspetto che ovviamente è strettamente legato al primo è la necessità per questi dirigenti di rimanere attaccati al “governo” sempre e comunque. E mentre è stata una scelta giusta e saggia quella di dare vita al governo Conte II che, con tutti i suoi limiti, aveva una base parlamentare e politica orientata al progressismo, l’ammucchiata sul Governo Draghi, ex banchiere della Goldman Sachs e carnefice della Grecia, è stata esiziale. Il governo Draghi è stata la perfetta sublimazione del potere dell’élite economiche internazionali che hanno in mano le redini del mondo e di cui purtroppo la politica è solo una marionetta.

E qui viene fuori l’altra questione di fondo, ossia che il Partito Democratico non è un partito di sinistra, e un partito di centro che su alcuni temi, ad esempio quello dei diritti civili, guarda a sinistra, ma non si permetterebbe mai di fare qualunque cosa che vada ad intaccare la narrazione delle classi dominanti ossia che tutto quello che conta è l'”Economia”, la produzione, il consumo, i mercati. Il PD così com’è non ha senso, perché un partito di sinistra per essere efficace non può che immaginare un modello diverso di società, un modello diverso di produzione e consumo un modello diverso nei rapporti sociali ed economici. Occorrerebbe un partito che, mettendo in discussione, il dogma liberalista, si schieri all’interno del conflitto sociale che è stato ovattato dalla propaganda liberista, coi lavoratori e contro i padroni, per la vita e la salute delle persone, imponendo misure draconiane per contrastare la crisi ambientale e climatica, facendo pagare le conseguenze ai ricchi ed ai potenti. E, sebbene vi sia una piccolissima presenza all’interno del PD di persone che hanno questa visione, la sua possibilità di emergere è impedita dalla sindrome della dirigenza di volere rimanere sempre attaccata al potere. Una lacerazione tra un’anima progressista e una liberista (quella liberista è comunque prevalente anche nei soggetti che si considerano di sinistra), è presente fin dalla nascita del partito che non potrà riguadagnare il consenso finché non farà una scelta netta per i lavoratori contro i padroni e per il clima contro i padroni (e qui potrei lanciarmi in un’analisi sulle periferie, il partito della ZTL, ecc.).

Ci sarebbe poi la questione delle candidature scelte, che sono state una diretta conseguenza delle dinamiche che ho provato a descrivere. Candidati i capicorrente e completamente ignorate le indicazioni dei territori, a detrimento di amministratori locali che si fanno un “fondello” così da mattina a sera!

Io non ho potuto seguire la direzione nazionale, perché sono stato impegnato al lavoro quasi tutto il giorno, ma mi è apparso chiaro il teatrino dell’assurdo in cui quegli stessi dirigenti che hanno portato questo partito all’autodistruzione hanno pontificato su quanto il partito sia stato brutto e cattivo nel condursi all’autodistruzione.

L’unico modo di uscire da questa situazione, sarebbe ripartire da zero, azzerare completamente il gruppo dirigente, impedire di assumere dei ruoli a chiunque abbia una carica superiore a sindaco o consigliere comunale, porre l’asticella molto alta per i dirigenti e per coloro che si vogliono eleggere o nominare, fare passare tutte le decisioni fondamentali dalla base (tramite piattaforma online e strumenti come referendum), eliminare tutti i legami con gli interessi di natura economica, valorizzare gli amministratori locali che si fanno un fondello così tutto il giorno per il territorio.

Ed ovviamente, abbiamo già capito, che questo non si farà mai.

Buona fortuna a tutti noi.

 

 

Riccardo Tassone