“Solo quelli che sono così folli da pensare di cambiare il mondo, lo cambiano davvero”.
A. Einstein

 

“Odio gli indifferenti”.
A. Gramsci

 

 

PREMESSA STORICA

È ormai un fatto storicamente accertato che l’Italia, almeno dal secondo dopoguerra, sia stato, per decenni, un paese a “sovranità limitata”; certe forze politiche sono state sistematicamente estromesse dal governo del paese e sono state messe in campo, in modo quasi scientifico, delle strategie di controsviluppo, di manipolazione dell’opinione pubblica e di limitazione della piena attuazione della Costituzione.

Come afferma, ad esempio, con invidiabile freddezza il giudice, Leonardo Grassi1, il magistrato che si occupò della strage di Bologna (1980) e di quella dell’Italicus (1974), la Storia d’Italia è sempre stata segnata, fin dalla strage di Portella della Ginestra del 1947, da una manipolazione sistematica operata da (sedicenti) intellettuali, alta borghesia e vari soggetti più o meno occulti composti da parti deviate delle istituzioni (militari, servizi segreti italiani e stranieri, ecc.), gruppi terroristici, criminalità organizzata e comune, settori politici, sotto la regia di istituzioni straniere (centrali di potere ed intelligence statunitensi, come la CIA, ed in generale la NATO), nei confronti dell’opinione pubblica (la cosiddetta “guerra non ortodossa” o “guerra a bassa intensità”), per spostarla verso destra, tentare di farle accettare svolte autoritarie ed, in generale, contrastare il pericolo comunista in Italia, nonché, come afferma l’on. Paolo Bolognesi, Presidente dell’Associazione dei Famigliari della vittime della Strage di Bologna1, di impedire la piena attuazione della nostra Costituzione ed, eventualmente, modificarla in senso autoritario (essa, in qualche misura, era il bersaglio principale di queste strategie, essendo considerata un’illusione post-bellica).

L’Italia ha visto le tensioni golpiste negli anni ’60 e ’70, lo stragismo nero (con la “Strategia della Tensione”), il terrorismo rosso, il cui principale fine (come afferma l’ex. On. Sergio Flamini che ha fatto parte di diverse commissioni parlamentari sui fatti più bui della nostra Repubblica5)era contrastare la politica di Moro di apertura verso sinistra (il cui assassinio può essere considerato, secondo molti, il vero colpo di stato in Italia), sempre negli anni ’70, lo stragismo mafioso negli anni ’80, fino all’inizio degli anni ’90; ha visto la P2, il cui “Piano di Rinascita Democratica”, come sostenuto, ad esempio, sempre da Flamigni (che sottolinea, ironicamente, come sarebbe più facile elencare quanto NON è stato realizzato del programma della P25) è in modo inquietante simile ad azioni legislative realizzate o progettate dai governi successivi (liberalizzazione delle emittenti televisive, controllo del lobbismo sui mass media, abolizione delle province, separazione delle carriere dei magistrati, riduzione numero di parlamentari, ripartizione delle competenze fra le due camere). Secondo Grassi, in seguito, la violenza non è stata più necessaria, perché sono state trovate altre strade per influenzare l’opinione pubblica, essendo subentrati altri mezzi, in particolare la TV commerciale e gli altri metodi di comunicazione e di “distrazione” di massa, che hanno addormentato le coscienze (oggi per indirizzare l’opinione pubblica basta, probabilmente, un telegiornale, come afferma il giornalista Carlo Lucarelli2).

Possibile che queste forme di potere occulto, che certo hanno assunto connotazioni diverse al trascorrere dei decenni, che influenzavano in modo così forte la vita politica, sociale e culturale italiana siano improvvisamente spariti con la fine del “pericolo comunista”, si siano accontentati di avere raggiunto l’obiettivo e si siano semplicemente disciolti? Sempre secondo Grassi3 e Flamigni (ed anche secondo il sottoscritto) questa sarebbe una pia illusione; chi ha in mano il potere non lo cede mai volentieri. In effetti, la stragi (le ultime sono state quelle di matrice mafiosa) sono finite con la fine della Prima Repubblica e l’inizio del ventennio berlusconiano (secondo Sergio Flamigni, Berlusconi era l’uomo che doveva realizzare il programma della P24). Non ho gli elementi per affermare che tale “filo rosso” perduri anche nella “seconda repubblica”, Grassi, però, osserva come, finalmente, si sia sul punto di centrare l’obbiettivo, quasi a chiudere il cerchio, con metodi molto diversi rispetto al passato, certamente più democratici, di cambiare la Costituzione1.

 

L’ITALIA OGGI

Quale è stato il risultato di questa sistematica azione di condizionamento, deviazione e controsviluppo?

La risposta è lapalissiana: l’Italia attuale.

Probabilmente ciò che è l’Italia oggi non è qualcosa di sviluppatosi spontaneamente, ma è, almeno in parte, precisamente ciò che si voleva realizzare (come afferma Roberto Scardova, giornalista RAI)6.

Ossia?

L’Italia è un paese in declino, in cui sono profondamente radicati corruzione, ignoranza, superficialità, sfrenato edonismo, gattopardismo, riluttanza a rispettare le regole, in massima parte privo di senso civico e del senso del rispetto del bene comune, senso del dovere e delle istituzioni, senza memoria e senza futuro, dove vince furbo e perde l’onesto; come ha affermato Piercamillo Davigo, Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati: “All’estero ci vuole coraggio per commettere un reato, in Italia ci vuole coraggio per rimanere onesti”.

E’ un paese dove, in gran parte, il lavoro è un illusione7 ed nostri cittadini stanno emigrando in massa all’estero8, in particolare i giovani, sempre più sfiduciati e portati a comportamenti eccessivi ed irrazionali (come dimostra l’affollamento di certe zone della città negli orari notturni).

L’illegalità spesso domina9 e la criminalità organizzata (e non) è ormai penetrata in ogni zona del paese, profondamente radicata, gestisce volumi mostruosi di affari10.

E’ un paese con un’informazione gravemente inimparziale, spesso manipolata11, ma in cui sono gli stessi cittadini che, in buona parte, non sentono il bisogno di informarsi in modo adeguato e spesso lo fanno in modo superficiale.

E’ un paese in cui una notevole componente della classe dirigente (certamente non tutta) si è dimostrata arrogante, immorale e corrotta, dove la politica è spesso vissuta con la logica del tifoso e dove dietro polemiche sterili si celano bassi interessi di bottega, mentre chi si oppone mosso da senso critico informato e razionale viene, perlopiù, considerato pericoloso ed emarginato. Domina un leaderismo spinto, spesso caratterizzato da insulti e battute volte a squalificare chi dissente.

 

CROLLO DELLA POLITICA TRADIZIONALE

Ebbene, alla luce di tutto ciò, di quale credibilità può disporre una classe dirigente che ha amministrato e che ancora amministra nel frangente in cui tale situazione del paese si è determinata? È evidente che, a torto od a ragione (più a ragione credo), tale classe dirigente viene giudicata quantomeno non all’altezza e priva di efficacia ed è a rischio di perdere anche il senso stesso della propria esistenza.

Forse pochi se ne rendono conto (magari molti fanno finta di non rendersene conto), ma ritengo che siamo alla soglia di un cambiamento epocale, nella Politica e nella Democrazia italiane (e non mi riferisco al Referendum Costituzionale, su cui tornerò con un articolo dedicato). Esso si caratterizza come parte di un fenomeno che sta dilagando a livello mondiale (vedasi la brexit e l’esito delle elezioni statunitensi), che viene normalmente etichettato come “populismo”, ma che io ritengo essere qualcosa di più: un rifiuto totale nei confronti del sistema politico e sociale vigente.

In Italia, in particolare, siamo, forse, alla fase finale di un processo di transizione che dura da lungo tempo, direi una decina di anni. Era il 2007 quando nacquero tanto il Partito Democratico, quanto il Movimento 5 Stelle, col primo “vaffaday” di Grillo. Un caso? Il M5S è nato è cresciuto a causa del fallimento e della progressiva perdita di credibilità dei partiti tradizionali, sia l’ex-PDL, sia il PD; quest’ultimo, in particolare, si è dimostrato dapprima incapace di contrastare efficacemente il berlusconismo e poi di offrire un’alternativa credibile per il governo del Paese. Osservando la storia elettorale di quest’ultimo decennio, il M5S è cresciuto progressivamente, con l’unica eccezione delle elezioni Regionali e ed Europee del 2014 quando gli elettori hanno voluto garantire un’apertura di credito alla “novità” Renzi, credito rapidissimamente dissipato. Le ultime elezioni amministrative hanno segnato un punto di svolta forse decisivo: il passaggio del controllo di grandi città come Roma e Torino è un segnale (o una tappa) molto più rilevante di quanto si potrebbe ritenere. Siamo giunti, forse, all’”atto finale” di questo processo.

Questa crisi della rappresentanza, della democrazia tradizionale, ha molte cause e molte sfaccettature; su questo si discute, si dibatte, si scrive da anni nella letteratura politologica e non credo di dovere addentrarmi più di tanto nel merito.
Mi limito ad evidenziare due aspetti:

  • Esautoramento della politica: La verità è che oggi i politici e gli amministratori sono poco più che passacarte. In un mondo sempre più globalizzato, le amministrazioni sono sempre più ingessate, dovendo ottenere l’approvazione degli organi superiori: le Circoscrizioni rispetto al Comune, i Comuni rispetto allo Stato (si pensi al famigerato “Patto di Stabilità”), gli Stati rispetto all’Europa, ecc., che limitano sempre più la discrezionalità di governi, parlamenti, consigli (si pensi al deleterio TTIP). In passato le cose non erano così, ma non voglio ora dare un giudizio di merito. Purtuttavia, ritengo che conseguenza di tutto ciò sia stato il fatto che il potere si sia spostato verso quelle realtà che sono in grado di fare pesare la loro influenza a quei livelli: lobby, multinazionali, alta finanza, banche. Gli ultimi governi, ad esempio, danno la sensazione di essere stati più che altro espressione degli interessi di lobby, nazionali ed internazionali. Il Governo attuale è stato attraversato da diversi scandali più o meno gravi che sembrano evidenziare come alcuni suoi componenti siano stati, in alcuni casi siano ancora, in qualche misura, espressione di vari poteri cosiddetti “forti” (banche, cemento, petrolio). I politici diventano spesso degli occupatori di poltroni, così che il loro unico obiettivo risulta la tutela del loro tornaconto e degli interessi di questa o quella lobby. La politica non ha alcun reale potere, che è invece detenuto da piccole e grandi lobby economiche, sociali e finanziarie, probabilmente le stesse che nei decenni passati hanno influenzato l’opinione pubblica nei modi che ho provato ad illustrare nel primo paragrafo. Ed, alla luce di tutto questo, non sembra affatto assurdo pensare che quelle entità (parzialmente) esterne al potere politico, nel senso dell’espressione della volontà popolare, abbiano infine vinto e che il potere, almeno in Italia, non sia più realmente nelle mani dei cittadini, ma di altre “realtà”.
  • Decadimento dei partiti: Diretta conseguenza del punto precedente è il venir meno del ruolo, della credibilità e della funzionalità dei partiti. Questo è il risultato del decadimento culturale e morale della società tutta, nonché della natura umana, in mancanza di una tensione etica molto forte che stemperi la naturale tensione dell’essere umano verso l’egoismo e l’individualismo; la corruzione è una conseguenza necessaria. Grazie a studi basati sulla Public Choice (che consiste nell’applicare ai decisori politici la stessa metodologia di analisi degli altri operatori economici), si scopre che questi, essendo individui, non sono mossi dal desiderio di migliorare la vita dei cittadini, ma agiscono razionalmente per raggiungere i propri interessi egoistici12. Quindi, i partiti oggi sono qualcosa di completamente avulso dalla loro funzione tradizionale, ossia l’intermediazione fra i cittadini e le istituzioni. Sono diventati, perlopiù dei contenitori, con all’interno tutto ed il contrario di tutto, in larga misura privi di principi ed idealità (se non un’elencazione di parole d’ordine, di slogan, in gran parte vuoti di significato, attorno ai quali si forma il tifo da stadio), comitati elettorali finalizzati unicamente all’assegnazione delle poltrone ed alla gestione del potere ed in parte, che possiamo sperare minoritaria, ma certo significativa, un coacervo di corruzione ed illegalità. In questo senso, sono sopravvissuti alla loro utilità e la distinzione effettiva fra un partito e l’altro è sostanzialmente irrilevante. In più o meno tutti i partiti, si trova tanta negatività e qualche esempio positivo. Ed è proprio da queste poche personalità positive che si deve puntare per ricostruire la fiducia nella politica.

 

IL MOVIMENTO 5 STELLE

Come si colloca, il M5S in questo scenario?

Mi pare di tutta evidenza come esso costituisca una reazione al desolante quadro attuale, parte di quella risposta “antisistema” che caratterizza il momento politico attuale a livello mondiale.

Dobbiamo, dunque, affidarci al M5S?

Personalmente, mi sento vicino a molte loro istanze, in particolare il porre l’onestà come prerequisito per ogni azione politica, il volere puntare sulle piccole opere, piuttosto che sulle grandi opere, sui piccoli eventi piuttosto che sui grandi eventi, ecc. In teoria, la sua presenza dovrebbe essere un fatto positivo, perché permetterebbe di mantenere un canale di vigilanza continuo sull’operato dei partiti e delle istituzioni. Purtuttavia, credo che esso presenti forti limiti che ne pregiudicheranno la crescita e la capacità di portare avanti un’azione politica efficace, di costituire, cioè, una reale alternativa. Ecco, in sintesi, quali sono, secondo me, tali limiti.

  • Classe Dirigente: Il rifiutare quasi ogni tipo di curriculum politico\amministrativo per i loro esponenti, insieme al porre l’onestà pressoché come unico prerequisito, fa sì che la loro classe dirigente ed amministrativa rischi di essere di qualità modesta. Vi sono naturalmente eccezioni, quale ritengo essere Chiara Appendino, ma non possiamo non osservare come la sua giunta sia caratterizzata da un grave immobilismo, tipico di chi non ha alle spalle la necessaria esperienza politica ed amministrativa.
  • Incapacità di Governare: Diretta conseguenza del punto precedente; basta osservare quanto sta accadendo a Roma ed, in parte, anche a Torino. Spesso, ravviso altresì mancanza di rispetto per le Istituzioni. Li penalizza anche la loro non volontà di stringere alleanze (se nel 2013 avessero accettato la collaborazione, forse irrealistica, proposta da Bersani, ora parleremmo di un altro film).
  • Base: Nella base pentastellata, è fortemente presente una componente (nel senso che certamente non si possono bollare tutti i militanti del movimento in questi termini) apparentemente non molto acculturata, alquanto propensa a credere a “bufale” e complotti ed a non documentarsi, a ragionare con la logica del tifoso (cosa che accade ovunque, peraltro), per partito preso ed in genere porsi in modo molto maleducato, mancando di rispetto al prossimo, soprattutto sul web.
  • Incoerenza: Quanto sta accadendo a Livorno ed a Roma, dove esponenti della loro compagine sono sotto indagine, ma rimangono al loro posto, dimostra che, quantomeno, il movimento si sta caratterizzando in termini sempre più pragmatici, ossia sembra che stia acquisendo alcune delle peggiori abitudini dei partiti tradizionali. Altro esempio di grave incoerenza, la vicenda Appendino-SMAT.
  • Democrazia Interna: Forse l’aspetto più grave; basta vedere quanto accaduto qualche settimana fa, quando Grillo annuncia candidamente “il Capo sono io”. Fra direttori che tengono sotto tutela gli amministratori, correntismo spinto, elezioni in rete poco trasparenti ed Editti Bulgari trasmessi attraverso i blog di Grillo e la Casaleggio associati, la Democrazia non esiste all’interno del movimento e questo è inaccettabile!

 

PROSPETTIVE FUTURE

Alla luce di tutto ciò, possiamo prevedere che cosa accadrà nei prossimi mesi/anni?

Non ho, evidentemente, la sfera di cristallo; certamente molti degli scenari di breve periodo saranno influenzati dall’esito del famigerato referendum del 4 dicembre. Eppure, sono ragionevolmente convinto, per quanto riguarda il medio periodo, che il M5S vincerà le prossime elezioni politiche (anche se le lobby varie ce la metteranno tutta per scongiurare questo esito e purché a Roma la smettano di inanellare gaffe una dietro l’altra), a prescindere dall’esito dell’infausto referendum ed i partiti “tradizionali”, non avendo capito la necessità di trasformarsi completamente, precipiteranno tutti a percentuali nell’ordine del 10% (come già accaduto a FI, temo accadrà anche al PD). A quel punto, se i pentastellati non si dimostreranno in grado di governare (le avvisaglie romane lo rendono verosimile), considerando anche l’altissimo livello di astensionismo, la Democrazia Italiana si troverà davvero a rischio. Coi partiti tradizionali, irrilevanti ed il fallimento dei 5S, la scena politica sarà dominata da…cosa?

Questo mi induce a pensare che ci troviamo, in un momento di snodo fondamentale della Democrazia Italiana, di cui nessuno può prevedere l’esito. Se non saremo in grado di accompagnare questa trasformazione, modificando radicalmente il nostro modo di stare in politica, con una totale autoriforma dei partiti che implichi una loro profonda moralizzazione, rischiamo seriamente non solo di venire travolti, ma pure di perdere la Democrazia stessa.

 

LA RESPONSABILITA’ DI CIASCUNO DI NOI

Non ho molte speranze che questo si verifichi.

Ed allora, che cosa fare?

Come non ho la palla di cristallo, non ho nemmeno la verità in tasca.

Cionondimeno, ritengo che, in questa fase di emergenza democratica e morale, essendo i partiti, come tali, non in grado di autoriformarsi, la responsabilità principale ricada su ciascun individuo; reputo che il dovere individuale di ciascuno di noi sia quello di dare un piccolo contributo per riformare, dal basso, la politica. Mi limito, quindi, ad elencare una serie di atteggiamenti che ciascuno di noi dovrebbe tenere per trasformare i partiti in qualcosa di molto diverso rispetto a ciò che sono oggi.

1) Principi: Sono fortemente convinto che uno dei motivi principali per cui la politica ha progressivamente perso la propria credibilità e la propria efficacia sia che ha assunto un punto di vista troppo pragmatico, utilitaristico, opportunistico. Le categorie sulla base delle quali si assumono le decisioni sono

  • Utile\non utile
  • Opportuno\non opportuno
  • Efficace\non efficace
  • Conveniente\non conveniente

Invece, occorrerebbe riportare la valutazione delle decisioni da assumere, nella società così come nella politica, ad una categoria più fondamentale: “giusto\sbagliato”. Occorre, cioè, che il decisore possa fare riferimento ad un codice di valori, ossia un insieme di “principi”, fortemente consolidati, ogni volta che deve operare una scelta, una piattaforma ideale (non ideologica), che è pressoché scomparsa dopo la fine delle grandi ideologie, sostituita appunto da una visione utilitaristica. Ovviamente, si tratta di questione delicata, in quanto i concetti di “giusto/sbagliato”, “bene/male” sono basati su una forte soggettività. Io credo però, che, per chiunque, questa costruzione di valori debba essere solidamente basata sulla dialettica fra concetti incontestabilmente giusti ed incontestabilmente sbagliati, ossia, si deve basare, innanzi tutto, su categorie morali. Personalmente, ho un’idea molto precisa di quali devono essere questi criteri, che possono essere rinvenuti sulla pagina “Pensiero Politico” (paragrafi 1 e 2).

2) Intransigenza Morale: In effetti, la crisi morale della politica e della società rappresentano un elemento che dovrebbe essere evidente a chiunque (ritengo di riportare un’altra citazione di Davigo: “I politici continuano a rubare, ma non si vergognano più”). La soluzione prospettata a tale crisi, probabilmente molto comoda per determinati centri di potere, è stato di tagliare “poltrone” e, con esse, spazi di rappresentatività; io credo che, anzi, gli spazi di rappresentatività vadano rafforzati, ma, allo stesso tempo, che i partiti debbano imporre il massimo di intransigenza ed integrità, circa i comportamenti pubblici e privati degli uomini politici (su questo tema vi invito a leggere l’articolo “Necessità della Riforma Morale”). Ciascuno di noi dovrebbe pretendere che il proprio partito di riferimento si adoperi in questo senso!

2) Diritto/Dovere di opporsi: Ma se l’Intransigenza morale non è applicata, come dovrebbe comportarsi ciascuno di noi nell’agire politico? I partiti del ‘900 (soprattutto il PCI) erano basati sul “centralismo democratico” e sull’assunto che, una volta che i vertici avessero dettato la linea, tutti dovessero sostenerla per il “bene del partito” o “la ditta”. Questo vecchio principio è tornato in auge col PD Renziano, caratterizzato da un leaderismo spinto, in base al quale, sostanzialmente, una sola persona decide e tutti gli altri si adeguano (è anche un po’ il principio su cui si basa la Riforma Costituzionale). Tale principio, di fatto, si basava su un tacito assunto, ossia che i “vertici” agissero sempre con disinteresse e, appunto, senso del bene comune, il che poteva anche essere accettabile in epoche in cui sussisteva un forte senso morale, sia all’interno della politica che della società. Oggi, vi sono due obiezioni fondamentali che possono essere mosse a questo approccio:

  •  Il bene del partito non coincide necessariamente col bene comune dei cittadini e del paese.
  • Questa posizione non tiene conto della natura umana, che presenta una predisposizione al vizio, all’ingordigia, all’individualismo. Oggi, il senso morale all’interno della politica è al minimo (ricordiamo nuovamente le parole di Davigo), i politici, in buona parte, agiscono sulla base del loro interesse particolare (si rammentino gli studi basati sulla “public choice”), che non coincide né con il bene del partito né, tantomeno, con il bene comune. Nel caso del mio partito, il PD, ho una mia teoria in base alla quale gran parte dei suoi membri è vittima di una sorta di “sindrome dell’omologazione”, è cioè inconsciamente portata a sostenere le posizioni che i vertici propongono.

Ora, io credo, in linea con quanto affermato nel punto precedente, che la prospettiva debba essere cambiata: se bisogna orientarsi rispetto alla dicotomia giusto/sbagliato, in base ad un principio morale saldo, allora, naturale conseguenza logica è che se si valutano “sbagliate” le motivazioni e le finalità dei vertici (di un partito o, in generale, di un’organizzazione) è non solo un DIRITTO, ma anche un DOVERE MORALE, contestare anche pubblicamente tale linea e cercare di cambiarla con tutti i mezzi leciti, onde garantire il bene comune. Chiamatelo “SPIRITO CRITICO”, “INDIPENDENZA”, “PENSIERO INDIPENDENTE”, “COERENZA” o come preferite, ma è ciò di cui si sente maggiormente la necessità, oggi. Questo non significa affatto che non si abbia anche il dovere di aggregarsi, cercare di conciliare le posizioni e lavorare insieme per un obiettivo comune, anzi occorre tentare fino all’ultimo di realizzare tutto ciò, significa solamente che questo non è scontato e quando la mediazione fallisce (o, come spesso accade ultimamente, non ha proprio luogo), quando la linea entra in collisione col proprio concetto di “giusto e sbagliato”, contro i propri principi, occorre ribellarsi a tale linea.

3) Trasparenza: Un altro aspetto che dovrebbe caratterizzare l’azione politica di ognuno di noi è rappresentato dalla PRETESA di trasparenza. Con questo termine si possono intendere diverse aspetti:

  • Informazione: Nessuna informazione utile a fornirsi un’opinione deve essere celata, ma tutte le informazioni devono essere universalmente condivise e non coperte dietro tecnicismi, frasi di circostanza, omissioni o menzogne.
  • Verità: Il politico ha il dovere di dire la Verità, sempre e comunque.
  • Falso Unanimismo: Occorre evitare di celare la propria opinione dietro unità di facciata, perché, oltre a non essere rispettoso verso gli interlocutori, ciò è assolutamente dannoso per l’organizzazione. Se una persona non è d’accordo con una linea politica od una determinata azione, ha il dovere morale di esplicitarlo, senza nascondersi dietro tatticismi, questioni di opportunità o altro.

È un DOVERE MORALE pretendere di essere sempre informati su tutto.

4) Collegialità e Rappresentatività: Se sono soddisfatti i punti precedenti, può e DEVE valere il principio “1 vale 1”: ogni decisione va presa con la massima condivisione possibile, ognuno deve potere fare pesare la propria volontà, attraverso meccanismi che concilino questo principio con quelli di efficienza, ma in modo tale che si evitino eccessi di deleghe, che una o più persone possano prendere decisioni in totale autonomia. Occorre, cioè, superare il concetto di leader, inteso come soggetto che possa avere la prima o ultima parola su qualsiasi questione. Negli organi di formazione delle decisioni occorre che non solo si massimizzi il confronto, affiché le decisioni siano improntate alla massima condivisione, ma occorre che questi organi siano formati con il massimo grado possibile di proporzionalità, rispetto alla sensibilità degli iscritti.

5) Pluralità: Ovviamente, la Collegialità ha come corollario imprescindibile la Pluralità (o viceversa); all’interno di un partito o di un’organizzazione, una volta stabiliti dei valori di ampio respiro da condividere, occorre favorire il maggior numero di posizioni possibili e garantire cittadinanza a tutte. Occorre combattere in tutti i modi il pensiero unico.

6) Fare la differenza: Per chiunque pensi di avere qualcosa da dire, per chiunque non accetti le cose come stanno, è un DOVERE MORALE mettere la faccia, partecipare, nelle diverse forme, anche minimali, ai processi politici per cambiare lo status quo e l’inerzia della situazione. Di fronte alle avversità, di fronte agli episodi che ci disgustano e ci inducono ad allontanarci, la peggiore risposta è quella di lasciare od abbandonare, perché l’assenza di persone di “buona volontà” è precisamente ciò che vogliono i pessimi soggetti, in quanto, in questo modo, si fa il loro gioco. La reazione alla negatività deve essere di RIMANERE e BATTERSI, proprio lì dove le cose vanno peggio e proprio all’interno dei partiti e delle organizzazioni dove la maggior parte delle decisioni vengono prese, con ancora maggiore determinazione di prima, portando alla causa il maggior numero di persone possibili per “fare la differenza”. Questa è forse la maggiore responsabilità morale per tutti noi. In questo senso, non ha alcuna utilità “cambiare partito” quando non ci si trova più a proprio agio e non si condivide la sua linea, meno che mai allontanarsi e disperdersi, pensando “tanto non cambierà mai nulla”, bensì quelli sono i momenti in cui più occorre rimanere e fare di tutto per combattere la negatività. E poiché i partiti sono l’unico luogo dove effettivamente sia possibile influenzare le decisioni, è proprio lì che le persone di “buona volontà” che non accettano le decisioni dall’alto e con un forte senso morale, devono rimanere, entrare, aggregarsi e combattere. Poiché i tutti i partiti condividono, più o meno, le medesime criticità, passare dall’uno all’altro non risolverebbe il problema, e comunque è molto più efficace la battaglia dall’interno piuttosto che dall’esterno.

 

Riccardo Tassone

 

 

 

 

 

FONTI

[1] https://www.youtube.com/watch?v=T9y_BBeCf2s
[2] https://www.youtube.com/watch?v=bVZzkwQ1CEU
[3] https://www.youtube.com/watch?v=6F9B4H5eIJs
[4] Sergio Flamigni, “Dossier P2”, Kaos Edizioni.
[5] https://www.youtube.com/watch?v=NRfNQwfecus
[6] https://www.youtube.com/watch?v=0R3SlRhx-Zo
[7] Tasso di disoccupazione al 11,5 % (dati Istat, II trimestre 2016: http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_TAXDISOCCU)
[9] Secondo il TPI (indice di percezione della corruzione), come riporta Il Sole 24 ore del gennaio 2016, in fatto di corruzione rimaniamo tra i paesi non virtuosi: 61° posto su 168 Paesi nel Mondo (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-01-27/corruzione-l-italia-resta-i-paesi-peggiori-ma-migliora–101630.shtml?uuid=ACDfoGIC), le attività illegali in Italia valgono 206,4 miliardi di euro (dati Istat) ed il “peso” delle attività illegali nel 2013 risulta pari al 12,9% del PIL (http://www.tgcom24.mediaset.it/economia/l-economia-sommersa-in-italia-vale-206-miliardi-l-istat-pensa-a-un-conto-satellite-per-contrastarla_3030924-201602a.shtml).
[11] Risultiamo al 77° posto nella classifica della libertà di stampa, su un totale di 180 Paesi, nel 2016 secondo “reporters sans frontieres” (http://www.lastampa.it/2016/04/20/esteri/libert-di-stampa-litalia-crolla-ora-al-posto-jl0lw7T7ev7j31hRKIpCwJ/pagina.html).
[10] Si pensi alle inchieste Mafia Capitale, Minotauro, Aemilia.
[8] Nell’ultimo decennio gli Italiani all’estero sono passati dai 3.106.251 iscritti all’Aire nel 2006 ai 4.636.647 iscritti nel 2015, una crescita pari al 49,3%, secondo il rapporto di “Italiani nel Mondo 2015” (http://www.repubblica.it/cronaca/2015/10/06/news/aumentano_espatri_italiani_migrantes-124460911/) e, per la prima volta, nel 2015, il tasso di emigrazione ha superato quello di immigrazione (http://www.repubblica.it/cronaca/2016/10/27/news/immigrati_5_milioni_e_mezzo_di_nuovi_italiani-150660188/?ref=fbpr).
[12] http://lospiffero.com/ls_article.php?id=29521